lunedì 25 marzo 2013

Verità S-Velate, quando la materia si fa spirito


Estratto dall’articolo di presentazione della mostra Verità S-Velate, scritto dalla critica d’arte Silvana Nota:

“(…) La bellezza che nasce, senza essere cercata come tale, da un contenuto forte; la bellezza di cui parlano i saggi di molte epoche che sgorga dall’interiorità. E’ questo l’impatto, suggestivo e misterioso, intimista e colto, suscitato dall’opera di Cabì, che estrinseca la propria arte scultorea, rappresentando con forme plastiche spinte verso l’alto e il fondersi del gesso con l’oro e il nero, l’energia che muove ogni essere vivente, spingendolo ad ascendere a piani di percezione sempre più alti e luminosi.
Artista autentica, riservata, elabora in una sorta di eremitaggio filosofico interiore, il soffio che anima la materia indagando nella plasticità di forme e corpi l’energia che trascende la materia.
Una tensione verso la luce, che nella poetica dell’artista trova evidenza nella citazione della spirale, quale segno e sigillo che unisce macrocosmo e microcosmo.
Le sue sculture vivono di pensiero, di legami con la letteratura, e di parole come forza evocativa. Ogni titolo da lei scelto, è infatti parte integrante dell’opera, ed è gesto di “poesia visuale” tra le cui righe si muove con duttilità. Tutta l’espressione artistica, molto libera, personale e sperimentale, accoglie tracce dell’eredità antica come continuità esperenziale in progress tra passato, presente e futuro, quest’ultimo gravido e consapevole del lavoro svolto da chi è stato prima. C’è dunque, rarefatto e del tutto originale nel suo lavoro, il ricordo del panneggio greco, ma anche la spiritualità monacense dell’icongrafia bizantina che ha studiato e praticato, e che recupera nell’oro come significato di luce: elemento fondante che talvolta inserisce nelle opere installative tradotto in fonte luminosa artificiale.
Ma il percorso di Cabì assorbe e percepisce lo spirito di ogni tempo, dunque le sue Ligthing Sculpture che cercano nell’ombra i rimandi della Shadow Art, si svincolano da ogni tendenza prendendo vita sulle corde del suo sentire interiore che respira e si sintonizza con i cicli della natura alla ricerca di segreti cosmici e libertà dell’anima.
Esplora così i vortici energetici, la ciclicità di morte e rinascita, e lo fa con materiali semplici, senza tempo ed elaborati con interdisciplinarietà, mettendo in dialogo pittura, scultura, scrittura, e modellazione plastica.
Per ottenere questo Cabì prende a prestito la tela rafforzando la fragilità del tessuto impregnandola di gesso, evocando la materia grezza nella sua capacità di trasmutazione. Graffia e scurisce le superfici, ne esalta la ruvidità tormentata come lo spirito umano, ma poi la rende aurea in molte parti, la scava, la libera dal peso interno e fa in modo che possa contenere aria, leggerezza, spazi liberi e vorticanti, visibili dall’esterno. La prigione corporea trova nei suoi lavori il senso di una levità che pur esprimendo la reale sostanza fisica dei corpi, evoca le impressioni immaginifiche del batter d’ali di un angelo. Con determinazione e chiarezza, in tutta la sua sperimentazione Cabì cerca l’equilibrio tra materia, mente e cuore, seguendo un ritmo che vuole sintonizzarsi con altri battiti, terrestri e celesti. Il velo di Maya, l’illusione cosmica, può e deve essere allora infranto, cercando orizzonti di luce, di energie positive, di saggezze rivelate che attendono senza rumore di essere, scoperte, e appunto svelate. (…)”

“Corriere dell’arte” n°32 del 24/10/2008


Sul numero di venerdì 24 ottobre 2008 del settimanale di cultura e informazione, edito a Torino,“Corriere dell’Arte” (pagina 3), in “Colori di un universo femminile” Erika Nicchiosini ha scritto in merito alle opere di Cabì esposte presso Martinarte.

Nel pezzo tra l’altro si legge.”…Cabì con le sue composizioni morbide dai colori lievemente soffusi e sfumati, quasi insofferenti nel creare contorni netti…lo studio dei fiori appare quasi meticoloso: pistilli e stami, piccoli petali e sinuose villosità vengono rappresentate con fare quasi amoroso. All’interno di ogni corolla si cela la vita, un evento straordinario e totalmente naturale ma che spesso l’uomo dimentica o finge di ignorare.”
Se vi interessa leggere l’intero articolo potete fare riferimento al numero 32 della interessante, ed aggiornatissima, rivista d’arte citata in precedenza

Flower Power di Lucilla Guendalina Moliterno


Venerdì sera l’inaugurazione di Flower Power ha registrato una considerevole affluenza di pubblico. Un’esposizione di opere pittoriche “doppia personale” che accosta due ben distinte ricerche artistiche con un comune soggetto: il mondo floreale e l’energia che si può celare dietro il delicato profilo dei fiori stessi. Le note dei Jefferson Airplanes diffuse dall’impianto stereo hanno trasformato l’atmosfera dello spazio espositivo trasportandolo negli anni ’70, evocando ai presenti la brezza profumata di un passato recente. Nell’ampia sala permeata da musica ed immagini suggestionanti, curiosi di ogni età e numerosi appassionati hanno girato liberi per la galleria MartinArte deliziandosi ad identificare la “maternità” dei quadri (esposti per scelta senza etichette) e tentando di individuare quali fiori si nascondessero dietro i particolari ingigantiti di Cabì e le vibrazioni cromatiche di Mariangela Redolfini.

Osservando le opere di Cabì il fruitore è spinto ad osservare ingrandito ciò che è custodito come un tesoro all’interno dei fiori, particolari su cui forse non si è mai soffermato prima di allora. A scapito delle ammalianti corolle, dei fiori è messa a nudo l’ambiguità interna: pistilli e stami occhieggiano da alcune tele (Hypnos, Iris…) e sono gran protagonisti di altri quadri (Odontoglossum, Kroko, Gloxinia Orfica...), altre opere ancora mostrano morbidi vortici che in grado di condurre nella profondità di parenchimi acquiferi (Echeverie Mistiche, Graphtopetalum).
Con il suo lavoro l’artista evidenzia la pre-disposizione del mondo vegetale – connaturata ma non per questo meno misteriosa – di generare e riprodurre la propria categorica bellezza malgrado l‘apparente fragilità. L’oggetto specifico della ricerca artistica è il fiore, che rappresenta uno dei molteplici campi possibili di indagine dell’enigma della vita, della continua renovatio dell’ordine cosmico.
Oppure la scelta di fissare sulla tela l’eleganza effimera del fiore è un modo per esorcizzare il timore di lasciarsi sfuggire la freschezza della propria esistenza?
O forse queste opere rappresentano l’ambiguità insita in tutto ciò che è valutato come positivo: ingrandire il fiore – arché di bellezza per antonomasia – sino a scoprirne le sue linee più mostruose, è il tentativo di distillare dal carattere pacifico di Cabì il proprio “dark side”?
Le opere esposte nella mostra Flower Power (aperta sino al 31 Ottobre) sono tessere di un mosaico che rappresenta il percorso artistico che Cabì sta affrontando, qualsiasi esso sia. Siamo curiosi di scoprire come proseguirà questa indagine ed attendiamo con interesse di sapere quali saranno i prossimi campi di ricerca dell’artista, augurandole di riuscire sempre ad esprimere se stessa grazie alla sua pittura.
Lucilla Guendalina Moliterno
Withih the infant rind of this weak flower
poison hath residence, and medicine power:
For this, being smelt, with that part cheers each part;
Being tasted, stays all senses with the heart.
(Shakespeare, Romeo and Juliet, Atc II Scene III)

Il corvo di Cabì by Manodipietra


Non ne so molto di icone…non so molto della filosofia che le sostiene, del misticismo che le alimenta. Le icone son cosi’ immobili…
Sembrano momenti fissati su legno cosi’ come la fotografia può fissarli su carta. E, sì, son fotografie. Di santi, personaggi delle Scritture, cosi’ come la fantasia popolare li immagina. L’oro li nobilita, sottolinea la veridicita’ di quanto l’immagine sostiene, ed i segni, le varie didascalie consegnano all’opera una dignità superiore, quasi un timbro divino. Le icone sono affascinanti. Nascondono molto piu’ di quanto mostrano a volte, altre volte fanno l’opposto, se le si sa leggere possono dire tantissimo, diversamente si concedono all’occhio inesperto, piene di ori, segni e fisse immagini mistiche e son belle anche così. Cabì però le sa leggere. Al punto da decidere di reinventarle sì nella tecnica ma soprattutto nel soggetto: via il protagonista principale e spazio ai comprimari…ed ecco quindi il Corvo di Elia. Smarrito da cotanta assenza, incerto nel ruolo di protagonista e speranzoso di un gran ritorno che non avverrà mai perchè. ahimè, ormai il corvo domina l’icona e non v’e’ spazio per altri…
Ho potuto visionare altre New Eikòn di Cabì e tutte sono magnifiche, rispettose nei confronti del “modello” tradizionale, ma gioiose ed un pochino irriverenti. Quando verranno pubblicate lo vedrete. Quello che forse non vedrete mai e che pochi fortunati han potuto ammirare sono le Icone di Cabì. Bellissime icone tradizionali, zeppe d’oro, segni e santi. Io non le capisco molto, non le distinguo da quelle che vedo nei libri, starebbero bene in qualunque chiesa, o anch’esse nei libri. Forse nel suo sito Cabì dovrebbe decidersi ad inserire una sezione chiamata, semplicemente, Eikòn. Antiche o moderne che siano, con le Icone Cabì ci sa davvero fare, dobbiamo esser pronti a stupirci…
Manodipietra 9 luglio 2008

Segnalazioni


  • L’articolo di presentazione, ed il comunicato stampa, della mostra “Flower Power” su Undo.net e Teknemedia
  • L’articolo di presentazione, ed il comunicato stampa, della mostra “Flower Power” su Arte.Go
  • Segnalazione dell’evento “Flower Power” sulla Rete Culturale Virginia
  • L’articolo di presentazione, ed il comunicato stampa, della mostra “Flower Power” su Exibart
  • L’articolo di presentazione della mostra “Fiori, profumi, sapori” su Mondo Birra

Giovine Italia, o i 150 anni di una nazione


Giovine Italia 2011 è un mio personale omaggio e ricordo dedicati al Risorgimento in quest’ anno dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, il rischio di cadere nel retorico o nel banale era in agguato…
Ho scelto perciò di realizzare l’opera su di un’antica tela di canapa, più volte rammendata nel silenzio da pazienti mani femminili, in un’epoca in cui non non era concesso sprecare nemmeno un pezzetto di stoffa in modo che già nel supporto materiale potesse entrare un seppur minuscolo pezzetto di storia (sì la storia con la “S” minuscola, quella della gente comune).
La superficie materica si anima, prende la forma di una bandiera tricolore gonfiata dal vento e mostra tutte le sue ferite: le lacerazioni e i tentativi di ricucirle, le stratificazioni successive, i segni dei colpi ricevuti e la lotta per vivere e sopra-vivere ; probabilmente tormentata metafora della storia italiana …e in un certo senso “sismografo”  del particolare contesto storico-sociale in cui viviamo attualmente noi Italiani.
Sulla superfice di questo telo consunto, dai colori sbiaditi, che sembra aver accompagnato generazioni di italiani, si possono leggere alcune labili tracce verbali di una ormai lontana eco risorgimentale:
“…eran trecento eran giovani e forti e son morti!”

E poco più oltre i versi di un noto canto popolare sulla bellezza della nostra bandiera
“e la bandiera dei tre colori sempre è stata la più bella noi vogliamo sempre quella noi vogliam la Libertà “

La tela ha trattenuto le emozioni, i sentimenti, gli ideali, le tracce di lotte, sconfitte e vittorie; gli eventi tragici o felici che hanno accomunato uomini e donne in cerca di libertà. Uomini e donne rimasti sconosciuti, i loro nomi non sono passati alla storia ma è anche grazie a loro che oggi siamo uniti.
In un commento a una poesia risorgimentale, ancora attualissimo oggi, De Sanctis diceva:
“Abituàti a vedere la nostra bandiera, oggi la guardiamo con indifferenza, senza ricordare che è stata bagnata da tanto sangue ed ha ispirato tanto entusiasmo. Con che palpiti, quei tre versi del verde, rosso e bianco erano mormorati sottovoce, quando pareva un sogno vedere sventolare la bandiera tricolore!”.

Furenter


Furenter (dal latino=Furiosamente) è il titolo dell’ultimo libro oggetto creato da Cabì, in occasione del 22° Festival du Livre di Mouans-Sartoux dedicato a La fureur du monde.
L’oggetto si presenta come un contenitore formato da due tele dipinte legate insieme, al cui interno sono racchiuse una serie di pagine cucite a soffietto; il suo aspetto è lacero, confuso, consumato dal tempo che ce lo ha consegnato…

Il titolo evoca il furore che di quando in quando penetra l’uomo fin nelle ossa, (traxit per ossa furorem) lo “agisce” dall’interno e lo conduce repentinamente al di fuori di sè, al di là  della ragione.
Furore infatti, etimologicamente, nelle sue molteplici accezioni rimanda anche a: follia, demenza, insania, delirio, ma anche all’ ispirazione poetica, furore profetico, estro artistico, desiderio sfrenato, passione violenta, delirio amoroso; oppure rivolta, ribellione, tumulto, ardore bellicoso.
E come furiosamente esistono forze che agiscono dentro di noi spingendoci all’amore, alla follia, alla guerra, alla creazione, così furiosamente dalle pagine lacerate di questo libro emergono scritte ed immagini, quasi “strappate” al buio dove giacevano.

Ed ecco allora apparire qua e la  tra sulla carta piccole immagini di vampiri, donne e uomini, insieme a scritte gotiche. Come è semplice intuire il rimando lessicale è al Dracula di Stoker, alla sua atmosfera dark; ma qui il temibile “mostro” succhiasangue è interpretato in chiave esistenziale, quasi metafora di una condizione che spinge al cannibalismo delle energie altrui e delle risorse planetarie: “furiosamente”. Gli esseri sono in preda ad un’agitazione senza pace, una fame insaziabile, un correre furiosamente verso l’abisso…

Il potere dei fiori


Perchè dedicare una mostra ad immagini floreali?
“Una rosa è una rosa è una rosa” diceva Gertrude Stein, in fondo i fiori sono fiori e basta, ma dietro questa evidenza di senso , o la visione puramente referenziale, c’è sempre molto altro, e proprio questo “quid” è l’oggetto della mostra.
Flower Power vuole essere un omaggio alla forza creatice, l’occasione per scoprire riflesso in un fiore, l’Universo intero.
L’invito a soffermarsi ad osservare le “piccole meraviglie” che attraversano le nostre vite ogni giorno.
C’è da chiedersi: ma cosa unisce fiori e potere?
I fiori, si sa, sono da sempre il simbolo della bellezza seduttiva ma effimera, contemporaneamente però custodiscono e incarnano e il Potere Creativo, l’Energia della Natura che non ha tregua, che non può smettere di creare ogni giorno nuova vita;la “femminilità eterna, la vergine matrice del cosmo come forza che dà nutrimento e forma al cosmo, plasmandolo, misurandolo, riparandolo”(Elémire Zolla Uscite dal mondo, ed Adelphi 1992 pag 436)
Ed ecco nelle mie opere le strutture concentriche, i vortici spiralici di energia simboli dell’eterno ciclo vita-morte-vita, o gli stami carichi di polline e la danza dei petali.
Cosa ci può suggerire un semplice fiore?
Contraddizioni che, in seguito, si rivelano i solo apparenti: emblema da sempre della fragilità, dell’Impermanenza del Mondo ma insieme annuncio di frutti futuri e di raccolti abbondanti.
Simbolo di passioni, il fiore, presente nei miti più antichi stratificati lungo il corso dei secoli e presenti nelle più diverse culture: Narciso e il doppio, il Loto e la manifestazione dell’Essere Supremo, la Rosa di Afrodite o il Paradiso e la “Rosa Mistica”.
Cosa si nasconde allora dietro il titolo “Flower Power”? Dietro quello che può suonare come slogan?
Forse un tempo in cui i fiori contavano più di oggi…. La suggestione di uno stile di vita più in sintonia con il pianeta o della “creatività al potere”.
Mi piace pensare che quel vento di libertà possa soffiare ancora.
Nuovamente.
That which we call a rose / by an other word would smell as sweet
(Shakespeare, Romeo and Juliet, act II, scene II)
Il visitatore della mostra ospitata da MartinArte avrà libertà di aggirarsi, emozionarsi, gioire, cogliere le suggestioni di forme e colori e come in un gioco cercare di attribuire ad ogni immagine presente l’”etichetta ” appropriata…..
Passion Flower
Echeveria mistica1 e 2
Mille spade di dolore
Oncidium
Sguardo interiore
Krokus
nsight
Graphtopetalum
Il fiore dell’oblio
Odontoglossum
Tulipano
Phalenopsis
Iris
Shiva Dance
Amarillis
Hypnos
Papavero
Gloxinia Orfica

Quando le piante, nostre amiche, iniziano a parlare…


Non vi è mai capitato, nel silenzio, di sentire una voce che vi chiama? Vi guardate attorno, non c’è nessuno, o meglio, qualcuno c’è vicino a voi: un fiore, ed inizia a parlare….
Il mondo vegetale da sempre ha accompagnato l’umanità, l’ha nutrita, ha lenito i suoi dolori e curato le sue piaghe, le ha fornito estasi e rallegrato i sensi; questo legame ancestrale affiora da secoli in mille immagini, miti, simboli e allegorie. Le mie opere vogliono essere un omaggio a questo legame millenario, ogni fiore ci “parla”, si mostra nella sua essenza quale concentrato di energie invisibili, volte ci sussurra la sua storia, rievocando mondi lontani, atmosfere esotiche, amori di ninfe e metamorfosi prodigiose. Parafrasando Ovidio potrei come lui affermare “l’ispirazione mi prende e mi induce a disegnare le trasformazioni dei corpi in altri del tutto diversi” Le Metamorfosi , libro primo, 1

Vagano immagini...



Fin da bambina venivo assalita da visioni, visioni così belle, pregnanti e vivide da lasciarmi inacantata, muta spettatrice di uno spettacolo più grande di me…
Nel corso degli anni mi sono poi imbattuta in un testo che mi ha fatto ricordare quelle visioni vissute con la mente di una bimba di tre anni, cristalline, totalizzanti, perchè non ancora filtrate da codici interpretativi.

…vagano immagini molte e di forme diverse, dovunque; e nell’aria si uniscono insieme, sottili, quando si incontrano, come i teli del ragno o tenui lamine d’oro: trame d’immagini assai più sottili di quelle che battono gli occhi e ci attiran la vista: passano infatti attraverso i pori del corpo, destano l’intima e lieve essenza dell’animo e ne scuotono il senso. 
Tito Lucrezio caro Della natura, IV 725
…rerum simulacra vagari multa modis multis in cunctas undique partis tenvia, quae facile inter se iunguntur in auris, obvia cum veniunt, ut aranea bratteaque auri quippe etenim multo magis haec sunt tenvia textu quam quae percipiunt oculos visumque lacessunt, corporis haec quotiamo penetrant per rara cientque tenvem animi naturam intus sensumque lacessunt. 
Tito Lucrezio caro De rerum natura, IV 725
Questi versi fanno parte di un poema scritto più di duemila anni fa dal poeta latino Lucrezio. Dopo aver studiato la fisica del suo tempo, compose quest’opera avventurandosi per mondi misteriosi; i mondi della conoscenza, del pensiero umano, dell’essere e del divenire, dell’universo.
In questo breve frammento il poeta ci spiega il fenomeno delle visioni, la loro potenza che ci afferra, ci penetra e ci scuote i sensi. Grazie a questi simulacri, (immagini dalla trama finissima che si staccano dai corpi fisici, a volte si mescolano tra di loro) noi possiamo conoscere il mondo che ci circonda, è una conoscenza corporea e non solo visiva.
Mi piace pensare così che anche oggi, come quando ero bambina, posso accedere a questo regno di immagini dalla trama fine come una tela di ragno e tornarne con una nuova conoscenza delle cose.
Poi si tratta solo più di trasferirla nelle mie opere…
In questa sezione sono presenti Icone realizzate con la tecnica tradizionale della tempera all'uovo. Stilisticamente i riferimenti sono da ricercare in prevalenza nella tradizione Russa ed in parte anche in quella Bizantina.

SAN ROCCO




















In questa sezione sono presenti Icone realizzate con la tecnica tradizionale della tempera all'uovo. Stilisticamente i riferimenti sono da ricercare in prevalenza nella tradizione Russa ed in parte anche in quella Bizantina.
In questo album sono raccolte alcune icone dipinte prima dell'anno 2000; di tutte le altre, realizzate e donate molti anni fa, non sono rimaste documentazioni fotografiche.